numeri del vino

I numeri su export e consumi di vino nel 2021 secondo Federvini

Due nuovi report sull’andamento del vino italiano in questo secondo anno di pandemia sono stati pubblicati dall’Osservatorio Federvini, a cura di Nomisma, e dall’ente di ricerca TradeLab.

Entrambi gli studi convergono sulla ripresa del segmento export, con numeri e percentuali maggiori rispetto al 2019. Meno rosee, ovviamente, le stime dei consumi di vino fuori casa, condizionati pesantemente dalle chiusure della scorsa stagione inverno / primavera, nonché dall’ormai diffusa tendenza al consumo di cibo da asporto o domicilio.

Secondo lo studio condotto da TradeLab, tuttavia, l’andamento dei consumi di vini fuori casa nel 2021 raggiungerà quota 66 miliardi entro dicembre, in crescita del 22% rispetto al 2020, ma in calo del 12% (19 miliardi) rispetto al 2019.

I risultati delle stime sulle esportazioni all’estero, infine, segnano un dato importante, anzi due, con i quali l’intera filiera del vino dovrà necessariamente fare i conti da qui ai prossimi anni: la “stagnazione” del posizionamento prodotto in fascia value (in controtendenza rispetto alla crescita in valore di vini francesi e spagnoli) e il presidio quasi esclusivo di imprese di grandi dimensioni sul mercato. Fattori che, a ben guardare, potrebbero essere correlati tra loro.

Report export e spedizioni di vino 2021 Federvini

Il primo studio, firmato dall‘Osservatorio Economico di Federvini dal titolo “Vini, Spiriti e Aceti: Valori Mercato e Competitività”, è stato curato dall’ente di ricerca Nomisma comparando numeri e trend dell’export di vini italiani tra il 2019 e il 2021.

Il primo punto dello studio segna una ripresa sui trend di consumi di vini sia sul mercato off-trade che su quelli internazionali. Il primo, con una crescita in valore del +6,1% di quest’anno, rispetto allo stesso periodo del 2020 (pari a circa 2 miliardi di euro). Dato trainato in special modo dalla riappropriazione del mercato da parte degli spumanti, scomparsi dalle classifiche dello scorso anno, che segnano nel 2021 un +27,5% tra le tipologie charmat secco e metodo classico.

Ma a crescere, secondo l’associazione di categoria, sono anche le esportazioni, con margini in percentuale davvero interessanti. Da gennaio a settembre di quest’anno, infatti, le spedizioni di vino italiano all’estero hanno registrato un +14,7% negli Stati Uniti, +6,1% nel Regno Unito, +9,4% in Germania, +15% in Canada, +27% in Russia e +47,2 in Cina.

Successi che, da Oriente a Occidente, rappresentano egregiamente lo stato di salute di un settore, quello dell’export di vini made in Italy, perfettamente in grado di presidiare i principali poli di attrazione enologici internazionali.

I dati sono riferiti alla comparazione tra il 2021 e lo scorso anno, ma l’attuale crescita complessiva è tale, con margini di scarto, anche rispetto alle stime pre-pandemiche del 2019. Le performance più interessanti riguardano le vendite di vino negli Stati Uniti, dove le etichette italiane chiudono con un tasso di crescita doppio sul 2019 rispetto alle cantine spagnole, e a addirittura triplo rispetto a quelle francesi.

Export di vini 2021: guidano rossi e vini frizzanti

A presidiare la principale fetta di mercato, tra le Dop troviamo lo Champagne, che da solo tocca quota 2 miliardi di euro in questo 2021. Seguono i vini di Bordeaux (1,45 miliardi di euro), il Prosecco (800 milioni), bianchi e rossi di Borgogna (398 milioni e 393 milioni) e rossi toscani (392 milioni).

L’Italia si conferma primo Paese esportare di vini a livello mondiale per volumi, seguito dalla Francia, che è però al primo posto sul podio in termini di valore. Un primo dato, quest’ultimo, sul quale è fondamentale iniziare ad interrogarsi in modo condiviso e sinergico all’interno dell’intera filiera, aprendo le porte ad un dialogo in grado di coinvolgere produttori, export manager e associazioni di categoria, con l’obiettivo di lavorare su un aspetto essenziale: la crescita in valore anche per i vini made in Italy.

Bene export di vini, ma essenziale investire in valore

Lo scarto in termini di valore sui mercati internazionali tra vini italiani e francesi (tanto per citare la comparazione più calzante) è purtroppo notevole e, al tempo stesso, assolutamente ingiustificato. Un esempio su tutti emerge proprio dallo studio di quest’anno sulle esportazioni di vino dei due Paesi e riguarda i rossi francesi di Bordeaux, posizionati sui 14 euro a litro, e quelli piemontesi o toscani, che non raggiungono in entrambi i casi neanche i 10.

La medesima dinamica riguarda anche altre bevande alcoliche italiane, come birre e spirits, che sul mercato globale non riescono a tenere testa in valore a prodotti stranieri considerate, senza ragione (specie nel caso dei superalcolici), più “blasonati”. Un gap da colmare solo attraverso un lavoro condiviso da parte degli addetti ai lavori, produttori ed export manager in primis, per valorizzare meglio il prodotto sia dal punto vista economico / marginale, sia in termini di branding.

Inoltre, sempre dall’analisi Federvini, emerge come a trainare le performance di export del settore siano quasi esclusivamente aziende di grandi dimensioni. Imprese con oltre 50 milioni di euro di fatturato che, nel corso del quinquennio 2015 – 2020 hanno triplicato i ricavi del +22%, mentre quelle sotto i 2 milioni hanno registrato una riduzione complessiva del -5,5%.

In un universo, come quello del vino italiano, popolato in gran parte anche da piccole e medie cantine, impegnate in questi anni a rafforzare l’idea del prestigio di un made in Italy incentrato proprio sulla tradizione e sulla qualità, a discapito della quantità, è necessario per il settore enologico una rivoluzione che sia in grado di tutelare e valorizzare anche e soprattutto le piccole produzioni. Un cambio di paradigma incentrato su un migliore posizionamento dei prodotti in modo trasversale e democratico per ogni realtà, dalle più grandi alle più piccole, anche grazie al supporto delle nuove strategie digitali.

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Antonio Secondo



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